- Marilisa Dones
- Informazione Tecnica
- 0 commenti
In Italia, pur non essendoci ancora una condizione di criticità estrema, per via del particolare assetto dei suoli che ne eleva la vulnerabilità, il rischio derivante dai fattori climatici deve essere valutato molto attentamente.
Dal rapporto Global Climate Risk Index (CRI) del 2014 presentato da Germanwatch al summit sul clima delle Nazioni Unite di Varsavia, il nostro Paese è al 36° posto, non lontana dalla Spagna. Più elevato è l’indice di rischio assegnato ad alcuni paesi dell’Est Europa come Russia, Polonia e Romania. Maggiore è la vulnerabilità, maggiore è il rischio potenziale per un territorio, al verificarsi di calamità naturali, sia in termini di vittime che di danni.
Molte città italiane devono affrontare oramai da tempo le conseguenze di questa situazione che spesso sfocia in drammatici epiloghi che oltre a creare danni a persone, cose e infrastrutture, rappresentano un danno per l'economia nazionale, in quanto i costi delle esondazioni rappresentano lo 0,7 % del PIL annuo.
Dal momento che l'argomento è piuttosto delicato, ho chiesto una mano ad uno dei nostri autori, Massimo Bastiani, che mi ha aiutato a scrivere questo articolo sulle cause delle alluvioni italiane.
Ma quali sono le cause vanno delle alluvioni in Italia?
Le cause principali che danno luogo alle alluvioni sono:- la pioggia
- l'incuria del territorio.
Chiaramente non è possibile controllare la pioggia in quanto elemento natorale, ma a rigor di logica l'uomo può intervenire per limitare gli effetti di una pioggia molto intensa e prolungata.
Fatta questa considerazione le cause sono quindi da ricercare per prima cosa nelle carenze sia di pianificazione sia di gestione del territorio.
Negli ultimi 40 anni il suolo italiano è stato cementificato insensamente, urbanizzando quasi il 20% dell'intera superficie territoriale nazionale, tanto che nel 2020 il consumo di suolo potrebbe raggiungere i 75 ettari giornalieri.
Una delle cause principali delle alluvioni è dovuto al fatto che invece di adottare una accorta politica di prevenzione degli eventi catastrofici, basata sulla manutenzione e l’uso del suolo, negli ultimi 50 anni si sono privilegiati piuttosto un vero e proprio saccheggio del territorio e l’economia dell’emergenza basata su interventi postumi, dispendiosi e spesso tardivi, prevalentemente a sostegno di “grandi opere”, decise per le comunità e mai con le comunità, sui fiumi e non per la salvaguardia dei fiumi.
Cosa si dovrebbe fare
Il primo passo da compiere è quello di operare delle precise scelte per il futuro in termini di programmazione ed utilizzo delle risorse:
- spostare i fondi dalle grandi opere sul monitoraggio, la gestione e la manutenzione del territorio
- coinvolgere direttamente le economie locali, investendo in prevenzione e sviluppo
- finalizzare parte del fondo rotativo del Decreto Crescita e delle risorse provenienti dai fondi strutturali alla difesa ambientale
- migliorare la capacità di spesa dei fondi UE
- adottare strumenti “di semplificazione amministrativa”, già ampiamente sperimentati nel resto d’Europa come ad esempio i Contratti di Fiume, di Foce e di Lago (CdF).
Cosa sono i Contratti di fiume
I Contratti di Fiume sono uno strumento di programmazione strategica partecipata per la pianificazione e gestione di beni collettivi come fiumi e territori fluviali.
In Europa, in particolare in Francia e Belgio, i contratti di fiume non sono una novità, infatti sono stati utilizzati già a partire dagli anni ‘80/’90. Attraverso i Contratti di Fiume si può rendere più efficiente e funzionale la pianificazione e la gestione degli ambiti fluviali, ambientali e paesaggistici nei distretti idrografici.
In Italia la necessità di operare attraverso strumenti efficaci di governance è amplificata dalla fragilità idrogeologica del nostro territorio e dalla sempre maggiore frequenza con cui frane e alluvioni si ripetono, con effetti sempre più gravi, in conseguenza dei cambiamenti climatici in atto e degli elevati livelli di occupazione ed impermeabilizzazione dei suoli.
Ma qualcosa si muove anche in Italia. Il 4 settembre 2014 l’Italia ha avviato un primo importante passaggio verso il riconoscimento dei Contratti di Fiume, poiché nella Commissione Ambiente della Camera dei Deputati è stato approvato l'emendamento al Testo Unico Ambientale 152/2006 che introduce in Italia i Contratti di Fiume, con il seguente testo:
"I contratti di fiume concorrono alla definizione e all’attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a scala di bacino e sotto-bacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree".
Sono tredici le regioni italiane che hanno aderito o sono in corso di adesione alla Carta Nazionale dei Contratti di Fiume e che cercano in questo strumento le basi per nuove forme di governance.
E si può dire che se tutto va come deve andare, non possiamo che riternerci soddisfatti.
Commenti (0)
Aggiungi nuovo commento