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L’appartenenza ad un albo professionale non sempre garantisce la professionalità, la cultura, la preparazione e il talento di un professionista. Non sono concetti strettamente correlati e si commetterebbe un errore nel crederlo.
Il tema è caldo, da sempre: gli ordini professionali andrebbero mantenuti o aboliti?
In tal senso, com’è logico che sia, si alternano opinioni nettamente contrastanti in merito, tutte legittime, tutte molto sensate e ragionate, ma in questa sede ci sembra opportuno riflettere sulla necessità di mantenere un’istituzione che affonda le sue radici in un passato forse ormai troppo distante dalla realtà odierna.
Oggi, probabilmente, per ingegneri, commercialisti, geometri e architetti, l’iscrizione all’albo dovrebbe costituire una scelta facoltativa, in modo da non svilire il significato profondo di quella che spesso, oltre ad essere una professione stupenda, è anche una missione.
Gli ordini professionali sono nati nel periodo fascista, in un certo senso in un contesto in cui era imprescindibile vivere sganciati da concetti come ordine e rigore.
Il dibattito si accende ulteriormente se si pensa che l’esame di Stato sembra piuttosto voler ribadire l’importanza di un controllo politico da parte delle lobby, piuttosto che garantire le competenze professionali e tecniche dei candidati, i quali hanno effettuato un percorso di studi e vissuto delle esperienze sul campo che automaticamente consente di attribuire loro l’etichetta di “professionista”, indipendentemente da una prassi.
Perché dovrebbe continuare ad essere obbligatorio iscriversi ad un circolo, una élite, quando il professionista, sia egli architetto, ingegnere o qualsiasi altra figura che di fatto opera per il compimento di un interesse, se vogliamo, collettivo?
Sarebbe utile riflettere non tanto sulla abolizione dell’Ordine, quanto sulla possibilità di iscriversi, sulla facoltà esercitata da un professionista di aderire ad un albo, senza che la mancata iscrizione possa privarlo di una qualche professionalità, di rispettabilità, di competenza e talento che, se sussistono, niente hanno a che fare con un istituto probabilmente desueto.
Molti intellettuali si sono schierati, in passato, per richiedere l’abrogazione della legge: Montanelli, Einaudi, Pannella, La Malfa e tanti altri.
Ordini professionali: mancanza di tutele
Laddove la sussistenza dell’albo garantisse maggiori tutele, sarebbe senz’altro un argomento a sostegno della loro vigenza, ma cosi non è.
Non vi è alcuna difesa sostanziale della categoria, in quanto abbondantemente vessata e gravata da oneri che sempre più scoraggiano i giovani professionisti del futuro a percorrere gli studi nel settore. Manca inoltre, una effettiva vigilanza sulle gare per l’affidamento degli incarichi di progettazione, nonché una effettiva volontà di aggiudicazione al meritevole. La logica, spesso, è quella di imbastire una gara con chirurgica precisone intorno alle peculiarità e caratteristiche dei soliti noti.
Albi professionali: nessuna garanzia per i giovani professionisti
L’iscrizione all’Albo non favorisce in alcun modo l’accesso al mercato del lavoro, architetti, ingegneri e altri professionisti sono, al contrario, vittime di pratiche di sfruttamento opinabili, essendo divulgato l’elenco dei tirocinanti.
Il tutto assume connotati anche più tragici se si osservano gli esaminatori. Sono in grado di giudicare in maniera oggettiva una persona solo per un progetto presentato in aula in quel preciso momento? Come si può decidere il futuro di un candidato se chi esamina, sovente, non si sa neanche se possieda reali competenze per giudicare?
Questa rigidità dettata dalla natura stessa di un istituto sorto in un momento storico, politico e culturale molto diverso da quello attuale, comunque la si pensi, impone una doverosa riflessione.
La società e il mercato sono in continua evoluzione, ciò non comporta automaticamente anche la necessità di ridiscutere e rivedere gli Ordini?
Da un lato, chi li considera inutili o peggio dannosi per l’economia, dall’altro chi imperterrito continua a difenderli strenuamente in quanto enti che garantirebbero la regolamentazione delle professioni.
Solo a titolo esemplificativo: ingegneri e architetti figurano, rispettivamente, al terzo e quinto posto tra gli ordini più “popolati”:
Quasi 240 mila iscritti nel caso degli ingegneri, mentre sono 155 mila gli architetti.
Il superamento dell’Esame di Stato per la professione di ingegnere, inoltre, non comporta automaticamente l’iscrizione all’albo, il che si traduce nella mera possibilità di avvalersi di collaborazioni, fino a quel momento, piuttosto che consentire l’esercizio libero della professione.
Senza contare che non è affatto raro imbattersi in critiche e proteste degli appartenenti alle categorie professionali citate (e non solo) in quanto spesso gli Enti Pubblici richiedono prestazioni a titolo gratuito per “amor di patria”.
Inaccettabile, dato che qualunque sia il titolo ricoperto o l’Ordine di appartenenza, la richiesta di una prestazione non remunerata svilisce qualsiasi professionista, rendendo il lavoro non più basato su prestazioni corrispettive nella logica del do ut des, ma unilaterale, favorendo sfruttamento e l’esodo di grandi professionalità che ricercano fuori dal nostro paese un contesto migliore.
Casse Previdenziali: un business da 60 miliardi
Il patrimonio di una Cassa è costituito da tutti i soldi che ciascun iscritto versa in virtù della obbligatoria iscrizione all’albo professionale: sono le pensioni del futuro.
Questi contributi vengono investiti. Come? In beni, immobiliari e mobiliari, quindi la cui gestione è affidata a terzi. E come vengono affidati questi incarichi? Il passato del nostro paese è capace di documentare vari scandali associati alla cattiva amministrazione dei denari delle casse e se ha ragione Nietzsche quando teorizza l’eterno ritorno, se qualcosa è già accaduto potrebbero verificarsi le condizioni affinché accada nuovamente, soprattutto se non mutano le circostanze che dovrebbero scoraggiarne l’avvento.
Ordini professionali: l’Europa verso la liberalizzazione delle professioni
Dibattiti a parte, va osservato che l’Europa mostra di sostenere una linea molto precisa e netta in merito: liberalizzazione delle professioni, concorrenza, riconoscimento dell’attività professionale come attività d’impresa.
Gli Ordini europei e americani si basano su norme deontologiche, quelli italiani hanno mera funzione etica, non sindacale.
Luigi Einaudi diceva: “Gli Ordini possono anche rimanere per quelli che intendono iscriversi, l’importante è che venga eliminata l’obbligatorietà della iscrizione ai fini dell’esercizio professionale”, una semplice e condivisibile affermazione che trova il suo sostegno nell’articolo 18 della nostra Costituzione che afferma “il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente, senza autorizzazioni, per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge”.
L'intenzione di chi scrive è quella di indurre ancora una volta alla riflessione, perché ci sono momenti in cui occorre mantenere inalterato quanto giunge al presente dal passato, altri in cui ci si domanda se non sia il caso di rottamare questo istituto e ripartire in quarta verso nuove e libere sfide professionali.
E tu, come la pensi? Lasciaci un commento e ragioniamo insieme, ti va?
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