- Giuseppe Marziano
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Dopo gli eventi alluvionali in Emilia-Romagna, le morti, la distruzione del patrimonio abitativo, museale e dei beni culturali, si riapre prepotentemente il tema della prevenzione (e della protezione, aggiungo io) (per la verità tema preponderante ogni qualvolta accada un evento), e quindi della messa in sicurezza del territorio, che tradotto significa l’individuazione delle zone a rischio frane e alluvioni.
Tralasciando i tecnicismi delle norme che già conosciamo, dal D.Lgs 152/2006 Decreto legge in materia di acque e relativo uso, al D.Lsg 49/2010 - Attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni - passando per la Direttiva Quadro 2000/60/CE, per qualche DPCM, è importante stabilire quali siano i confini della prevenzione e della protezione, ossia la mitigazione, connessi al rischio, nonché gli interventi sul territorio.
Se non bastasse, rispetto ai fondi già stanziati, anche il PNRR sta prevedendo interventi a favore della Riduzione del rischio idrogeologico e di alluvione. Contenuti nelle Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico, con lo stanziamento di ca. 2.500.000.000 di euro, per “Ridurre gli interventi di emergenza, sempre più necessari a causa delle frequenti calamità, e intervenire in modo preventivo attraverso un programma ampio e capillare. Gli interventi strutturali, volti a mettere in sicurezza da frane o ridurre il rischio di allagamento, saranno affiancati da quelli non strutturali, focalizzati sul mantenimento del territorio. L’obiettivo è mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone oggi a rischio.” Come si legge nello stesso sito del PNRR. Da una sovrapposizione di cartografie, quelle del sistema MOKA della regione Emilia Romagna, e quelle individuate dopo gli eventi di inizio maggio 2023 (delimitati in verde) si nota che le aree erano già conosciute come a rischio.
Sovrapposizione eventi 2023 con Direttiva Alluvioni Emilia Romagna
L'individuazione delle aree di rischio
Se è vero, come afferma anche il Politecnico di Torino, che le opere non si progettano per l’emergenza, e che negli ultimi anni gli standard di progettazione necessariamente stanno aumentando i parametri di riferimento a rialzo, e che bisogna spostarsi, nel breve periodo, verso le attività di protezione civile, è anche vero che occorre che si ragioni in termini di rischio e non di sola pericolosità.
Per l’individuazione delle aree a rischio, in cui vivono circa 1,5 milioni di persone, come si legge, occorre che le pericolosità, riferite alle zone alluvionabili (da piene o esondazioni), al PAI (Piano di Assetto Idrogeologico), o ad altri studi sul territorio, (la stessa Regione Emilia Romagna ne emana tre, nel 2014, 2019 e 2022, contenute nel sistema MOKA DIRETTIVA ALLUVIONI su piattaforma GIS), siano legate da un unico filo conduttore che è la definizione del rischio, e quindi messe a sistema, altrimenti restano carte tematiche di fondamentale importanza, ma slegate.
La pericolosità rappresenta una parte dell’equazione del rischio, sappiamo che altri variabili sono, la vulnerabilità e l’esposizione, rispettivamente, la propensione di un elemento sul territorio a subire danni, e la perdita di vite umane.
Occorre costruire, rispetto agli eventi che si sono verificati, nuove carte della pericolosità, in cui i dati certi sono quelli accaduti, rottura di argini per effetto della pressione dell’acqua e quindi zone inondate, colate detritiche, colate di fango, frane, etc, e metterle a sistema.
La carta della pericolosità
Nella carta della pericolosità vanno sommate tutte le pericolosità a cui è esposto il territorio non ultima quella sismica, le cui carte sono già redatte. Inoltre, è necessario che le carte del rischio siano integrate nei PUC (Piano Urbanistico Comunale), sono i comuni che hanno la grande responsabilità dell’espansione urbana. Di interventi sul territorio di cui tanto si sta discutendo in questi giorni (vasche di laminazione, rifacimento di argini, messa in sicurezza di territori, o altro) non possono non essere considerati all’interno di un sistema più generale che è la governance del territorio.
Esempio di Carta del Rischio di livello comunale
Le carte del rischio redatte prima a livello comunale, poi provinciale, regionale e poi nazionale devono essere il punto fermo di ogni progettazione, compresa e soprattutto quella derivante dagli interventi post emergenza.
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